Le Cozze, da sempre una delle prelibatezze dei piatti di mare, molto richieste dai ristoranti e nei mercati ittici. Tra le coltivazioni più importanti c’è quella dei Campi Flegrei, considerata terra di vino bianco, di piatti di mare e di cozze. I mitili coltivati nelle acque antistanti il faro di Capo Miseno sono tra le qualità più pregiate in Italia.

I ristoratori più navigati ne ordinano ogni anno a quintali dagli allevamenti del comune di Bacoli per offrire ai propri clienti i frutti migliori del Golfo di Napoli. Particolarmente apprezzate dai ristoratori di Toscana e Lazio.

Dopo il periodo burrascoso del 2015, quando i mitili di Bacoli vennero messi al bando dal mercato ittico per il potenziale rischio da epatite A e da Norovirus, la situazione è rientrata grazie ad un’ordinanza dell’ASL Napoli 2 che le ha fatte ritornare in vendita, aprendo così le porte dei miticoltori che allevano le cozze nelle acque di Capo Miseno agli addetti alla ristorazione di tutta Italia.

Le origini della coltivazione

La coltivazione delle Cozze nell’area di Bacoli, in particolare nelle acque del lago Fusaro, è ipotizzata già prima della nascita di Cuma nell’VIII secolo avanti Cristo. Un antico legame dimostrato dalla Cozza raffigurata sul rovescio delle monete dell’antica Cuma. Le due uniche monete d’oro rimaste dall’epoca della Magna Grecia raffigurano la dea Kyme da un lato e dall’altro lato la cozza, simbolo di ricchezza. Oggi, una è conservata al Museo del Louvre di Parigi, l’altra al London Museum.

Ferdinando IV di Borbone fece impiantare un allevamento di mitili ed ostriche nelle acque del Fusaro. La produzione e le metodiche di allevamento dopo l’avvento del colera nel 1973 sono rimaste invariate. L’evoluzione ha riguardato solo alcuni accorgimenti nei materiali impiegati.

Le Cozze vengono allevate su funi robuste installate in mare sorrette verticalmente da boe, ordinate e ben visibili anche dal promontorio del faro di Bacoli, punto del comune flegreo maggiormente esposto alle fasi lunari.

I pescatori lo sanno dalla notte dei tempi che la luna è la migliore amica nella loro attività. E in terra flegrea hanno basato le loro fortune intorno ad essa. La crescita delle cozze dipende infatti dalle fasi di questo satellite: in caso di luna piena, i mitili crescono di più, e le cozze di Bacoli sono tra le più grandi che si possano trovare. La cozza oggi è servita ogni anno in tutte le manifestazioni dell’area Flegrea.

Territorio interessato alla produzione: area dei Campi Flegrei, Napoli, Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida, isole di Procida ed Ischia

Frutto di forma sferica leggermente schiacciata ai due poli, dimensioni fra i 4 e 7 cm; colore giallo arancio, profumo intenso e caratteristico; buccia sottile, ricca in olii essenziali, attaccata agli spicchi, che presentano numerosi semi; il frutto ha dimensioni medio-piccole, la polpa è molto succosa, aromatica e dolce. La maturazione cade nei mesi di gennaio – marzo. Il 90% delle piante è riconducibile alla cultivar Avana, che rappresenta il mandarino comune diffuso nel meridione d’Italia; l’ambiente ed i terreni vulcanici conferiscono ai frutti caratteristiche organolettiche peculiari. Viene utilizzato allo stato fresco ma anche per la realizzazione di marmellate e confetture, e di rosoli.

Metodiche di lavorazione, condizionamento, stagionatura

Allevamento tradizionale con forma naturale, trattamenti fitosanitari contro cocciniglie ed afidi; vengono coltivati in agrumeti di piccole dimensioni, spesso annessi a ville gentilizie o vecchie masserie. La raccolta è manuale, sull’albero, e la commercializzazione avviene in cassette, su mercato locale e regionale.

Materiali, attrezzature e locali utilizzati per la produzione normali attrezzature per la conduzione dei frutteti.

Osservazioni sulla tradizionalità

Da circa due secoli la produzione dei mandarini si tramanda di generazione in generazione, e spesso i piccoli agrumeti rappresentavano una parte importante della dote da dare alle figlie in occasione del matrimonio; venivano piantati all’epoca del battesimo. Il raccolto di mandarini, un tempo esportati massicciamente, costituiva una fondamentale componente, assieme a vino ed olio, del reddito agricolo della zona.

La “Melannurca” è l’unica mela al mondo che matura due volte, prima sull’albero e poi a terra, arrossando al sole sui cosiddetti melai o “pòrche”, attraverso un lavoro manuale. Alcuni dipinti rinvenuti negli scavi di Pompei e di Ercolano testimoniano la sua stretta connessione con il successivo mondo romano nell’ambito della Campania Felix. Si ipotizza che il luogo di origine sia il territorio di Pozzuoli, l’antica Puteoli, come riporta Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) nel suo trattato Naturalis historia, con la denominazione di Mala Orcula in relazione al limitrofo “Orco” ovvero il lago d’Averno, sede degli Inferi. Secondo un’altra ipotesi, il nome deriverebbe dal verbo latino indulcàre riferendosi alla modalità di maturazione. L’attuale denominazione “Annùrca” è presente, per la prima volta, nel manuale di arboricoltura di Giuseppe Antonio Pasquale (1876). Sono molte le proprietà benefiche della mela annurca. Previene il cancro, è curativa per la calcolosi delle vie urinarie, elimina l’acido urico nonché l’acidità gastrica. Abbassa il colesterolo cattivo e rafforza i muscoli. La sua buccia, ricca di cellulosa, aiuta la digestione ed è indicata per la dieta dei diabetici.

Le alici puteolane sono un prodotto tipico di Pozzuoli, piccolo comune in provincia di Napoli.

Le alici rappresentano un prodotto tipico puteolano grazie alle limpide acque del Golfo di Pozzuoli.

Infatti, a Pozzuoli la pesca è una pratica molto antica che risale al periodo dei Greci e Romani.

L’ alice puteolana si differenzia dagli altri tipi di alici in quanto di diversa dimensione. In particolare, esse fanno parte della categoria pesce azzurro.

Pertanto, le alici puteolane sono ricche di: proteine, acidi grassi, Omega 3, vitamine del gruppo B e E.

Importante sottolineare che la produzione delle alici puteolane va dal mese di maggio fino a quello di settembre.

Inoltre, Pozzuoli ha anche una ricetta propria legata al territorio per la preparazione delle alici.

Quindi, qual è la ricetta delle alici puteolane?

La ricetta consiste nel mettere le alici sotto sale, poi sott’olio e in seguito avviene la macerazione in vasetti di terracotta.

Proprio nella conservazione troviamo un’altra differenza tra queste alici e quelle di Cetara.

Si ricorda che le prime sono conservate in vasetti di terracotta, mentre quelle di Cetara sono conservate in botti di legno.

Il pomodorino cannellino flegreo presenta frutti di forma ovale allungata con assenza di apice stilare . Il frutto immaturo è di colore verde con una pigmentazione più accentuata in prossimità del peduncolo (“spalla verde”), a maturazione si presenta di colore rosso più o meno intenso. Appartiene alla famiglia delle Solanacee, la pianta erbacea annuale, a sviluppo indeterminato e ramificazioni dicotomiche numerose; le foglie sono imparipennate, di colore verde più o meno intenso, che presentano il caratteristico ripiegamento a doccia della lamina. I fiori, gialli, sono raccolti in racemi. Il frutto è una bacca di peso variabile mediamente tra 15-20 grammi con un sapore tendente al dolce.

La coltivazione, realizzata tradizionalmente con l’ausilio di canne per il sostegno e fili, è interamente manuale, l’epoca di coltivazione va da aprile ad agosto, in questo arco di tempo è possibile effettuare più raccolte manuali. Il sesto d’impianto è di 0.80 m tra le file e 0,25 m sulla fila, con un numero di piante ad ettaro è di circa 50.000. La raccolta si effettua da metà luglio ad agosto. I frutti raccolti manualmente vengono posti prima in cassette di plastica e venduti per la produzione di conserve soprattutto a carattere familiare.

La coltivazione del Cannellino Flegreo è diffusa, secondo testimonianze indirette, almeno dalla fine dell’800. La peculiarità del suo radicamento territoriale risiede nella sua capacità di adattarsi al pedoclima dell’area flegrea, caratterizzato da terreni vulcanici sabbiosi. Il prodotto è sempre stato essenzialmente destinato alla produzione di conserve oltre che al consumo da fresco

Lạ cicerchia è un legume, già conosciuto ed apprezzato dagli antichi romani con il nome di Cicercula.
Tramandata, di generazione in generazione, essa è stata il sostegno fondamentale per le famiglie contadine del territorio flegreo, insieme ad altri tradizionali legumi secchi come le fave baiane, i fagioli bianchi ad occhietto e i piselli “santacroce“. La cicerchia é una pianta piuttosto rustica e nei Camp Flegrei si presenta spigolosa, di piccole dimensioni con colorazioni che vanno dal grigio al marrone chiaro; viene seminata nel mese di gennaio e raccolta nei mesi di luglio-agosto. Non ha bisogno di cure particolari, cresce in condizioni difficili, anzi la mancanza di acqua le conferisce un sapore farinoso e gradevole.
Più complessa è la raccolta, ancora manuale. Infatti le piante vengono estirpate con tutta le radici, messe ad essiccare sull’aia, e nelle ore più calde della giornata battute con’ l’antico attrezzo contadino, “o’vivilo”, per la separazione del seme – la preziosa cicerchia- dai baccelli.
Il materiale di risulta, baccelli e piantine secche, viene conservato con il tradizionale covone per essere usato come foraggio per gli animali nel periodo invernale, secondo l’antico principio contadino “tutto è prezioso ed utilizzabile”. Con l’abbandono delle campagne anche la cicerchia stava andando nel dimenticatoio, ricordo di un periodo di fame e di stenti. Solo un piccolo gruppo di eroici contadini ha continuato a produrla preservandone i semi e le tradizioni di coltivazione, insieme all’antico rustico e genuino sapore. L’Associazione Campi Flegrei a Tavola e la famiglia Di Meo da circa quattro anni hanno iniziato a proporre in tutte le manifestazioni e degustazioni, questo delizioso legume, facendolo conoscere e riscoprire a giovani e meno giovani. Con Malazè 2007, insieme ad un gruppo di ristoratori, abbiamo voluto proporla all’interno dei lori menù, nella speranza di creare quel circuito virtuoso che lega il prodotto al suo territorio e ne dà la sụa riconoscibilità, con l’augurio di rinnovare la giovialità rievocata in un’antica canzone napoletana “Madama Cicerchia” dedicata proprio al legume.

Falanghina e Piedirosso (Per e’ Palummo) dei Campi Flegrei

DOP-DOC Campi Flegrei

Area viticola: Campi Flegrei e Isole Arcipelago Campano

Città Metropolitana di Napoli

Denominazione di Origine istituita nel 1994, la DOP Campi Flegrei si sviluppa nella fascia nord-ovest della città metropolitana di Napoli: un’area storicamente vocata all’agricoltura, considerata uno dei punti d’accesso delle varietà diffuse in Campania dai coloni greci e fenici.

La zona di produzione comprende 7 comuni, dislocati tra la parte occidentale della città di Napoli e la costa tirrenica. È una striscia di terra densamente abitata che taglia in diagonale dalla piana di Terra di Lavoro (a nord-est) fino al promontorio di Bacoli (a sud-ovest), rispetto al quale l’isola di Procida può essere considerata propaggine (ed è infatti inclusa nella DOP).

Tutta l’area è accomunata dall’origine vulcanica dei suoli (l’etimologia di Campi Flegrei deriva dal termine greco flègo, che vuol dire “brucio”, “ardo”): geologicamente abbiamo a che fare con una grande caldera in stato di quiescenza, all’interno della quale sono stati attivi negli ultimi 40.000 anni oltre 60 centri eruttivi e dove anche oggi si trovano numerosi crateri e zone soggette ad un vulcanismo di tipo secondario (sorgenti termali, manifestazioni gassose, bradisismo).

Ne deriva un complesso patchwork di stratificazioni piroclastiche: tufi grigi e gialli, in primis, ricoperti di ceneri, lapilli e pomici. Le vigne si posizionano generalmente ad altitudini comprese tra il livello del mare e i 150-200 metri, con una quota significativa di piante centenarie non innestate, ancora su piede franco, che hanno resistito alla fillossera grazie soprattutto alla vicinanza del mare e alla tessitura tendenzialmente sciolta e sabbiosa dei terreni.

Per quanto riguarda i vitigni a bacca rossa, in tutta l’area è largamente maggioritaria la coltivazione del piedirosso, qui detto anche per’e palummo, mentre è la falanghina (biotipo

flegreo) a dominare tra le varietà a bacca bianca. Quote marginali sono riservate ad aglianico, sciascinoso, primitivo, marsigliese (rosse), coda di volpe e greco (bianche).

Il disciplinare prevede nove tipologie, le più utilizzate delle quali sono senza dubbio la Campi Flegrei Falanghina e la Campi Flegrei Piedirosso (o Per’e Palummo), anche in versione Riserva. Per entrambe la percentuale minima da utilizzare per i vitigni è fissata al 90%.